ARTE INDIFESA / IN DIFESA DELL' ARTE

Dall' 1 al 20 Ottobre 2011 si terrà al Forte Mezzacapo la mostra di ARTE CONTEMPORANEA:

" Arte Indifesa / In Difesa dell' Arte. Artisti al Forte."

VI ASPETTIAMO NUMEROSI!

Di seguito proponiamo il contributo del presidente dell' Associazione al catalogo della mostra:

 

IL FORTE MEZZACAPO,  ORA LUOGO DELL’ARTE  

Un luogo ha un’identità costruita da vari aspetti  -culturali, sociali, economici, paesaggistici, ecc-, che si intersecano, si influenzano, si modificano, si identificano e si annullano o confermano a vicenda. Il forte Mezzacapo,  il luogo che ospita la mostra Arte in difesa/in Difesa dell’arte, e che a sua volta è opera d’arte,  manifesta  solo uno di questi aspetti.  Come associazione Dalla guerra alla pace – forte alla Gatta ne ricordiamo alcuni per superare la sola e prepotente identità militare.

 

Il forte luogo della storia e dell’inutile

Il forte Mezzacapo di Zelarino, quasi sperduto nella campagna, non va considerato  da solo, ma collegato  a opere simili che si trovano nei dintorni di Mestre. Il contesto in cui viene concepito è la definitiva annessione del Veneto  all’Italia e l’organizzazione militare dei nuovi confini.

Nel 1882 iniziano i lavori del Campo trincerato di Mestre per difendere Venezia. Alla Gazzera, nel bosco di Carpenedo e vicino a Catene (forte Tron) furono costruiti tre forti, muniti degli ultimi ritrovati tecnologici di allora, con cannoni di medio calibro che avevano la funzione di tenere lontano ogni eventuale aggressore da Venezia, di proteggere un esercito in caso di necessità difensiva e offensiva e molto probabilmente, di fare sentire  alle genti  del Veneto l’autorevole e determinata  presenza militare del nuovo stato italiano. 

Dopo la costruzione di questi tre forti ci si rese conto che la distanza tra un forte e l’altro rendeva difficile il loro mutuo appoggio; che erano tecnologicamente superati e concepiti per la guerra a distanza, senza l’impiego di fanteria; che erano senza corazzatura adeguata e senza mimetizzazione. Tutto ciò convinse gli strateghi italiani che erano indispensabili altre fortificazioni.

Decisero di colmare i vuoti difensivi con la costruzione   di sei nuove opere:  a Cà Noghera (forte Pepe), a Tessera (forte Rossarol), a Favaro  (forte Cosenz), a Spinea (forte Sirtori) a Gambarare (forte Poerio) e al centro del sistema, alla Gatta di Zelarino,  il forte Mezzacapo.

I nuovi forti di Mestre furono costruiti in posizione più avanzata  dei primi tre, accorgimento indispensabile dettato dall’aumento della gittata delle artiglierie. 

Nel 1912  tutti i forti del campo trincerato di Mestre, Mezzacapo compreso, erano terminati. Quest’ultimo, collocato a sud del fiume Dese dalla sua posizione controllava la strada Terraglio, la ferrovia per Treviso e la strada che da Marocco porta a Martellago, oltre che la via Castellana con l’acquedotto per Venezia.

Questi forti risultarono perfettamente inutili perché inadeguati e furono disarmati dopo il  luglio del 1915. Un  forte simile, il forte Verena, colpito dalle artiglierie austriache sull’altopiano di Asiago si era aperto come una scatoletta.  I cannoni furono trasferiti al fronte e il forte Mezzacapo da allora venne usato come deposito materiali, sede di laboratori e alloggio per la truppa.

 

 

Il forte luogo delle macerie, dell’immaginario militare e del forte macchina

Piero Brunello in http://storiamestre.it/2009/06/le-fortificazioni-sono-concepite-per-essere-future-rovine, ha narrato il luogo-forte sotto aspetti che ci piace ricordare: la destinazione ad essere rovine, l’immaginario militare e il forte\macchina. Ha evidenziato quanto scrisse W. G. Sebald, ( Austerliz, Adelphi, Milano 2002), sulle fortificazioni di Anversa.  Egli si era reso conto che fin dal Seicento le numerose cerchie di fortificazioni, ostinatamente volute dagli architetti militari, non avevano salvato la città dalla distruzione del 1832.  

Scrive che “l’idea sbagliata consisteva in questo: pensare di poter garantire la sicurezza di una città costruendovi attorno un anello di forti e di bastioni. C’erano cose che non venivano messe in conto: che le fortezze più imponenti attirano anche le forze nemiche più imponenti; che il nemico può ignorare le fortificazioni e scegliere un’altra zona di combattimento; e infine che le fortificazioni risultano subito superate, “a lavoro appena concluso, se non addirittura prima”, per via dei nuovi sviluppi dell’artiglieria”.

Eppure la follia assedio\fortificazione non si fermò e anche l’ultimo forte, costruito attorno ad Anversa a ridosso della Prima guerra mondiale,  si rivelò completamente inutile alla difesa della città. La conclusione che fu di Austerliz ed è citata da Sebald è che questi edifici 

 “gettano già in anticipo l’ombra della loro distruzione e, sin dall’inizio, sono concepiti in vista della loro futura esistenza di rovine”.

E a Mestre  e ad Anversa la stessa storia si è ripetuta.

Infine dalla metà dell’Ottocento alla Prima guerra mondiale, quando cioè furono costruiti i forti di Mestre, due elementi di una certa mentalità sono da ricordare: il primo è l’idea fanciullesca dell’esplosivo come fuoco d’artificio. In Europa dopo la metà dell’Ottocento

gli effetti sempre più devastanti di questi materiali non venivano collegati a immagini di morte, a corpi fatti a pezzi, a città sventrate, bensì suscitavano da un lato un senso magico di avventura, di fantasmagoria e di spettacolo pirotecnico, e dall’altro una reazione di meraviglia di fronte al “progresso” della scienza.

Il secondo elemento è che i progetti delle fortificazioni evidenziano che queste sono strutture sotterranee o protette da masse coprenti, sono di calcestruzzo e acciaio, hanno cupole semovibili che si aprono e chiudono dopo lo sparo. Ci sono poi gallerie, stanze, meccanismi e automatismi, luce elettrica e il tutto si muove grazie ad una sala motori che è centro ordinato di comando. Un forte\maccchina che funziona come un meccanismo perfetto. All’epoca come si progettavano i forti\macchine egualmente si progettavano e costruivano città\macchine, fabbriche\macchine e ciascuno al suo posto gerarchicamente obbediva al funzionamento della macchina.

Il forte luogo della sorpresa

Un forte può essere anche il luogo della sorpresa quando provoca un’emozione per qualcosa di inatteso. Moltissimi entrano per la prima volta nell’area storica del forte e rimangono meravigliati: un luogo così a Mestre! Possibile! L’ambiente naturale che lo circonda, i locali del forte, le  lame di luce che tagliano il corridoio centrale, i muri con i segni del tempo diventati opere d’arte. Tutto suscita meraviglia ed emoziona. Coglie impreparati tanta bellezza e sorprende gradevolmente, porta fuori dalla normalità e dalla consuetudine, stordisce momentaneamente. Non è forse questo il compito dell’arte!

 

 

Il forte luogo dell’esclusione

Il dizionario Devoto-Oli definisce il confine come una “linea costruita naturalmente o artificialmente a delimitare l’estensione di un territorio o di una proprietà, o la sovranità di uno stato (…) Pietra, sbarra, steccato, che delimita una proprietà da quella attigua” . Arrivare al forte Mezzacapo vuol dire ancora oggi  passare un confine fatto di cancelli, sbarre, tre recinzioni  con filo spinato, cartelli Alt farsi riconoscere, Zona militare, Divieto di accesso ai non autorizzati. Il confine permeabile di oggi solo lontanamente rende l’idea di quello che divideva due mondi con leggi, regolamenti, tempi, valori completamente diversi: quello militare e quello borghese. Togliere confini vuole dire esercitarsi nella pratica della tolleranza, nella considerazione di aspetti diversi di una stessa realtà, togliere i motivi di separazione che marcano identità diverse.  Ma se il confine militare del forte era concreto, violentemente concreto, più difficili da escludere, da superare,  sono i confini immaginari, quelli che demarcano  “ciò che è possibile conoscere, fare, dire e ciò che non è permesso, (…) tra l’ordine da una parte e il disordine dall’altra (P. Zanini, Significati del confine.  Limiti naturali, storici, mentali, Mondadori, 1997 Milano, p. 4)

E’ stato il forte Mezzacapo per un secolo  il luogo dell’esclusione , del tenere lontano, separato, perfino  invisibile, uno spazio che proprio per questo ha conservato caratteristiche sorprendenti e impreviste a chi lo ha pensato, progettato, costruito e gestito fino a vent’anni fa. Chi era straniero del luogo  ne è diventato padrone e ne ha inventato una nuova identità, pacificata e integrata.  Un luogo può essere difeso da confini che escludono ma poi il tempo fa nascere una personalità “altra” quando viene usato in un  modo diverso per cui era stato concepito. E’, questo, l’obiettivo ultimo della nostra associazione.

 

Il forte luogo del bello

“Il Veneto è cambiato, oggi non è più possibile amarlo come una volta, come non è più possibile amare come una volta l’Italia… Il Veneto aveva l’incanto del paesaggio e ora lo ritrovo solo in certe parti collinari, su, lontano dalla pianura aggredita e disastrata…

Nel Veneto mutato, nel Veneto distrutto ci sono anche quelli che resistono, per amore del passato e per amore del futuro; ci sono minoranze che crescono e che sembrano riscoprire  in una tradizione morale e culturale una forza e un’apertura che furono sempre minoritarie e che seppero incontrare le maggioranze solo perché erano maggioranze di poveri …

Ed è questo il Veneto che continuiamo ad amare. La sfida è grande, ed è comune  per le minoranze attive  ed etiche di ogni luogo, che devono farsi di nuovo sale della terra  e stimolo alla  resistenza e alla non-accettazione ostinata ed energica del mondo così com’è.”

Così scrive Goffredo Fofi nell’l’Introduzione  a   Il Veneto che amiamo, Edizioni dell’asino, Roma 2009.

Noi di Dalla  guerra alla pace – forte alla Gatta ci riconosciamo in questa volontà, minoritaria, testarda  ed etica di difendere  il bello della nostra terra, dello spazio in cui viviamo.   Vogliamo un sereno e pacifico piacere disinteressato nel  frequentare un luogo,  delle persone, un territorio.  E lavoriamo per questo. Attraverso il recupero e la valorizzazione del forte e la “ricerca del bello” facciamo del bene a noi stessi e alla società in cui viviamo, francamente sempre più brutta e volgare.  C’è dunque per l’arte un ruolo civile da svolgere in questo senso e la collaborazione con gli amici dell’associazione   Oltre lo sguardo non poteva essere migliore  e  più opportuna.

 

Il forte luogo dell’arte

La mostra  Arte in difesa/in Difesa dell’arte. Artisti al forte organizzata dall’associazione Oltre lo sguardo regala al forte Mezzacapo un’identità che ancora mancava, quella di luogo dell’arte. Luogo che ospita, che ispira, che produce e promuove arte e che è opera artistica modellata dagli uomini e dal tempo  esso stesso. 

Nasce un luogo del bello e dell’arte e solo per questo è un momento importante per noi e il nostro territorio.

 

Zelarino, 5 settembre 2011

 

Associazione Dalla guerra alla pace - forte alla Gatta

Il presidente

Claudio Zanlorenzi