80° ANNIVERSARIO LIBERAZIONE

GIOVEDI' 24 APRILE ore 18.00

FORTE MEZZACAPO

CELEBRIAMO INSIEME GLI 80 ANNI DELLA LIBERAZIONE DAL FASCISMO

25 Aprile 2025

Testi letti

In un mondo completamente rivoltato la nostra resta una “democrazia difficile” e agire in questa nuova complessità significa provare non solo a leggere il passato per comprendere il presente, ma anche tenere vivi attenzione e impegno nel presente per poter porre al tempo che è trascorso le giuste domande. Il nostro 25 aprile si colloca in questo punto di caduta, nella consapevolezza che l’intendimento della Costituzione resti un formidabile programma per l’avvenire, che viene da lontano.

Davide Conti, storico e consulente delle procure  per le inchieste sulle stragi del 1974 (Piazza della Loggia a Brescia) e del 1980 (Stazione di  Bologna)

 

UOMO DEL MIO TEMPO

 

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
– t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
“Andiamo ai campi”. E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

Salvatore Quasimodo (1901-1968), poeta e premio Nobel

Libertà è lo spazio aperto di una nuova mattina quando sono state sgomberate le macerie della distruzione fascista, felicità è lo stato d’animo con cui abbiamo vissuto, convinti di costruire un mondo giusto e mite, guidato con intelligenza e rispetto, con la capacità di fare cose nuove. Non avevamo voce, l’Italia dell’antifascismo ha conquistato voce per tutti, ha fissato una linea incancellabile della storia italiana.

Furio Colombo (1931-2025), giornalista e uomo politico

«Il fascismo c’è ancora e dobbiamo resistere al fascismo. Il fascismo non è solo una dottrina, o un partito, una camicia nera o un saluto romano. Il fascismo è un modo di vivere, è una mentalità, è arrendersi per amore del quieto vivere o per amore di una carriera. È un modo di concepire l’esistenza, un costume e un metodo. E questo modo di vivere è sempre in agguato, dentro e fuori di noi, tentazione perenne in ogni essere umano e in ogni società».

Don Giovanni Barbareschi (1922-2018), cappellano delle Brigate Fiamme Verdi, formazione partigiana di ispirazione cattolica

 

Dell’antifascismo bisogna tornare a parlare come di un corpo vivente, non venerarlo come un cadavere mummificato. Antifascismo non è semplicemente l’aver lottato allora, ma realizzare ciò che è stato messo per iscritto nella Costituzione. Per questo non è una battaglia retrograda bensì attualissima, purché il termine lo si intenda nel suo effettivo contenuto politico-sociale.

Luciano Canfora, storico e filologo

 

Il futuro non ci porta nulla, non ci dà nulla; siamo noi che, per costruirlo, dobbiamo dargli tutto (…). Ma per dare bisogna possedere, e noi non possediamo altra vita, altra linfa che i tesori ereditati dal passato e digeriti, assimilati, ricreati da noi.

Simone Weil (1909-1943),  filosofa

 

25 aprile

Forse non farò
cose importanti,
ma la storia
è fatta di piccoli gesti anonimi,
forse domani morirò,
magari prima
di quel tedesco,
ma tutte le cose che farò
prima di morire
e la mia morte stessa
saranno pezzetti di storia,
e tutti i pensieri
che sto facendo adesso
influiscono
sulla mia storia di domani,
sulla storia di domani
del genere umano.

Italo Calvino (1923-1985), scrittore

“...Nessun uomo, ne' oggi né domani, deve poter decidere che la sua verità è tanto buona da meritare di essere imposta agli altri. Solo la coscienza umana potrebbe pretenderlo: ma i valori fondanti di una coscienza di così ampia dimensione devono oggi essere ritrovati. La libertà che dobbiamo infine raggiungere è la libertà di non mentire mai. Solo così possiamo attingere alla conoscenza delle nostre ragioni di vivere e di morire. Questo è il punto minimale che abbiamo raggiunto. E forse non valeva la pena di andare tanto lontano per arrivarci. Ma, dopo tutto, la storia degli uomini è la storia dei loro errori e non delle loro verità. Probabilmente la verità, come la felicità, è totalmente semplice e senza storia...” ( New York 1946, Discorso all’Università)

Albert Camus (1913-1960), scrittore e premio Nobel

La Resistenza è un sentimento minoritario, ma trascinatore nei confronti del resto del paese. Porre l’accento su questo tipo di lettura permette di chiarire alcuni punti fondamentali della possibile critica dell’antifascismo: in effetti nasce come sentimento minoritario nel paese, ma si candida da subito ad essere un evento che crea valori condivisibili. Si tratta di una ribellione, di una negazione del potere dittatoriale e come tale, nei partigiani, diviene scelta di vita, scelta esistenziale.

Giovanni De Luna, storico. (Cit. in: F. Filippi, Ma perché siamo ancora fascisti?)

 

Eppure c’era qualcosa di eccitante, di corroborante in quella Torino: in un paese a pezzi, sconfitto, occupato dagli inglesi e dagli americani, il partigianato aveva lasciato una forte certezza di contare, di essere un paese sovrano in cui noi, i comunisti, i monarchici, i padroni, gli operai, ci saremmo giocati il nostro destino. Gli americani e gli inglesi c’erano, con dei carri armati grandi come una casa, ma noi non ci sentivamo provincia dell’impero e credo che la vitalità indomita, trascinante di quella Italia dovette sorprendere anche i vincitori che dopo qualche mese erano già spettatori disattenti, un po’ infastiditi dalle nostre violente fazioni e un po’ intimiditi da quella nostra ottimista, veemente, sicura certezza di venir fuori dalle rovine, di uscire indenni dalla sconfitta.

Giorgio Bocca (1920-2011), giornalista e scrittore

 

...Quando giungemmo a Milano, trovammo la città in rovine.  Le strade erano piene di una folla esuberante, curiosa e felice. Andavano a comizi, a riunioni, a passeggio, chissà dove. Tutti parevano contenti di vedersi, di urtarsi camminando, di respirare, di ritrovarsi, di sentirsi vivere. La città pareva più abitata del solito. “Quanti siamo!” parevano dirsi i milanesi, ammiccando di intesa e meraviglia; e si sedevano sull’erba del Parco.

Calava la sera, e gruppi di giovani entravano nei cortili delle case mezzo diroccate. Si ballava in tutti i cortili, al suono di orchestrine improvvisate. Alle corde, tese tra le finestre dei primi piani, erano attaccati dei lampioncini di carta, e delle frasche verdi, e là sotto, i milanesi ballavano. Passavano le ore, la notte era fonda, e le danze continuavano senza interruzione, come se una forza miracolosa reggesse i muscoli di quelle ragazze, che pure avevano, per tanti mesi, mangiato così poco. I lampioni si spegnevano a uno a uno,e il ballo non cessava. Fazzoletti rossi al collo, camicette leggere,  vecchi vestiti d’estate, pantaloni militari, tutto ondeggiava e piroettava concorde: neppure le brutte e le vecchie erano trascurate. La luna era alta in cielo: il suo raggio penetrava attraverso i buchi della finestre sbrecciate, i profili irregolari dei muri cadenti: a quella luce, in tutta la città, i milanesi ballavano, abbracciati e confidenti come se fosse la prima notte del mondo. Quando il cielo si ingrigì per l’alba del giorno nuovo, ancora vagava per l’aria lo scalpiccìo cadenzato dei piedi, e il suono delle fisarmoniche e dei violini fra le macerie.

 

Carlo Levi ( 1902-1975), scrittore e pittore, L’orologio, 1950