RINOCERONTE

 

Il Carnevale di Venezia del 1751 è passato alla storia per la presenza di una attrattiva straordinaria per l’epoca: una femmina di rinoceronte mostrata al pubblico, dietro pagamento di un costoso diritto di entrata. Ne è testimonianza un celebre ritratto dipinto da Pietro Longhi, esposto tuttora al Museo di Ca’ Rezzonico.

 

Gigio Brunello trae ispirazione da quel momento di eccitazione collettiva per riproporre, sotto forma di installazione, una immagine paradossale. Brunello propone un non senso, la massa dell’animale viene sovrastata da un ragazzino che con il suo peso fa inclinare dalla sua parte l’asse di un’altalena.

 

Brunello nel suo lavoro, oramai quarantennale, maestro riconosciuto anche oltre i confini nazionali nell’arte del Teatro di Figura, ama misurarsi con il paradosso, con la rivelazione del senso nascosto delle cose, servendosi di burattini più umani degli uomini, di pupazzi più espressivi e sapienti di filosofi patentati, di felici intuizioni sceniche, con cui mette in dubbio luoghi comuni, certezze assodate, rapporti di forza solidificati.

 

Forte Mezzacapo, costruito sulla base di logiche di guerra, nato come luogo funzionale alla storia vista come confronto violento, da anni con coerenza si apre alla cittadinanza e si mostra luogo di pace, di attività artistiche, di contraddizione feconda con la volontà che lo costruì 110 anni fa.

 

L’Associazione dalla Guerra alla Pace continua nell’impegno di farne cornice di riflessioni, di relazioni tra le persone, di convivialità.

 

 

Pensiamo che non vi sia contrasto, ma perfetta intesa tra l’intuizione poetica di Gigio Brunello e la pace piena di domande di questo luogo.

POESIA DI GIGIO BRUNELLO

Il rinoceronte, attrazione del carnevale di Venezia del 1751, nella nostra storia è scappato, seminando panico e meraviglia in città.

 

 In preda a sete lo strano animale

si slancia verso il fiume all’impazzata,

si tuffa rovinoso nel canale

tracanna avidamente una sorsata.

Ma l’acqua è come fuoco, è tutta sale.

S’infuria ed urla folle il gran lioncorno

d’un balzo sulla riva fa ritorno.

 

E’ intrico di sentieri come selva

Venezia, un labirinto di tranelli:

Ne vuole uscire fuor la strana belva

si rotola sull’erba dei campielli

fra calli senza fine si rinselva,

fra piante strane, sbarre dei cancelli.

Ecco le immense quercie: è un colonnato,

Venezia è un bosco, ma pietrificato.

 

Si incastra in un portico

per lui troppo stretto

col rostro implacabile

disvelle un muretto

correndo frenetico

fra campi e ciovere

lenzuola con federe

che come bandiere

al sole pendevano

per farsi asciugare

trascina avvolgendosi

fasciandosi attorno

il nobil lioncorno.

 

Paludato incede sotto un arco

ed entra nella piazza di san Marco

 

Di maschere nobili e attori

formicola il grande piazzale

i poveri fanno i signori

con finta espression rococò

La sera di fin carnevale

da tutti bi en bi sbucan fuori

davanti al palazzo ducale

cancellan fatiche e dolori.

 

Irrompe il lioncorno

e carica intorno

  

Chi alza i tacchi e scappa

spingendo i suoi vicini,

chi ai muri su si aggrappa

chi sopra ai leoncini;

scompare Fraccanappa,

dileguano Arlecchini,

fra grida, ginocchiate ed anche botte

la Marangona batte mezzanotte.

DON DON DON DON DON DON DON DON DON DON DON DON

Forse dai tempi d’Attila

non s’era più veduta

devastazione simile

o piazza così muta.

Inizia la quaresima

da tutti mal voluta,

fra sparse in giro maschere

di festa mal goduta:

qua in terra un guanto nobile

laggiù c’è una bauta,

campeggia in quel casino tutto intorno

immobile e impassibile il lioncorno.

 

Ripresosi fiato

ritorna furente

sbandando di lato

rovescia la gente

devasta il mercato

trafora col dente

tendoni e steccato

dovunque si sente

frastuono e bordello

che par falegname

con sega e martello

poi cerca rifugio in Biennale

ma è chiusa, riapre a Natale

 

S’inerpica sul Calatrava

che scambia per Kilimangiaro

poi tutto in discesa sbuffava

qual treno a vapor ferroviaro

Lo sentono urlare: deraglio!

E vola in aperta campagna

si lascia alle spalle il terraglio

imbocca via Gatta e ristagna.

 

Una breccia si è aperta su un rovo

che dà dentro un Forte nascosto

lo sceglie per farvi il suo covo,

e pensa: che bello, qui sosto!

Fermi immobili, qualcuno in disparte

chi in parrucca e chi col cappello

affollan la Ronda dell’arte

guardando un pittore e un pennello.

Tavolozza, pastello e colore,

una posa nell’aria invernale,

qualche maschera e Longhi pittore:

un ricordo di quel carnevale.

Su un piano inclinato

il lioncorno si stende

ma un bimbo, da dove è sbucato?

 

In alto su al cielo lo appende

 

TEMPO DI RINOCERONTI DI PIERO BRUNELLO

Un giorno passa un amico, vede il rinoceronte in fondo al giardino, sotto una quercia, in attesa di raggiungere La Ronda dell’arte a Forte Mezzacapo.

Mah, tu che cosa vedi? Faccio io.

Direi un bambino seduto che tiene sollevato un rinoceronte.

Sollevato con che cosa?

Direi una specie di leva… Deve avere un significato, se no perché uno ci perde mesi…

Mesi? Più di anno, dico io.

Appunto, tanto lavoro, ci sarà un significato, osserva il mio amico.

E non ti dico gli imprevisti, dico io, una mattina Gigio e Lanfranco mi dicono che è come se il rinoceronte si fosse slogata la caviglia, come se avesse voluto mettere la zampa giù, a terra, e bisognava intervenire con una specie di fasciatura…

Appunto, mi fa l’amico, ci sarà un significato.

Mah, perché dovrebbe averne uno? Comunque, se non lo sai tu, dico io, che studi queste cose.

Il mio amico allora mi spiega che il rinoceronte è il simbolo di forza, di potenza.

Fin qui d’accordo. Però erbivoro, giusto? Faccio io.

Sì, non carnivoro.

Insomma non aggressivo….

Direi di no, non caccia prede.

Pesante…

Pesante, quello è sicuro, dice lui.

E il bambino? Chiedo io.

Innocenza, ingenuità, credenza nelle favole, estro artistico.

Leggerezza?

Sì, leggerezza.  

Eppure il bambino tiene sollevato un rinoceronte, dice il mio amico. Il significato sta qui.

Nella leva?

Perché no? Nella leva.

La leva… nostro papà, di me e di Gigio, diceva spesso: dammi una leva e ti solleverò il mondo; lo diceva per dire che nella Meccanica niente è impossibile: escluso il moto perpetuo, per il resto con chiodi martello cacciavite trapano viti pinza tornio una buona morsa e poco più, meglio se hai una saldatrice – l’officina dei garage delle case operaie insomma – puoi fare tutto, sei autosufficiente. E olio, olio da motori

Così diceva vostro papà?

Sì, così, tutti i garage operai erano così, la damigiana del vino da imbottigliare e mettere le bottiglie sugli scaffali nelle pareti libere dal banco di lavoro… Questa era la capanna degli uomini, il mondo estraneo e ostile iniziava fuori della porta del garage.

Ecco il significato, mi interrompe il mio amico. L’opera rappresenta un elogio della Meccanica nel mondo dell’Immateriale, dei chip, del 5G, del riconoscimento facciale e della password… Cioè il riparo offerto dal banco da lavoro di casa tua e dagli oggetti che puoi controllare e maneggiare… Nostalgia di una sicurezza che il mondo dell’informatica e della sorveglianza digitale ha cancellato per sempre …

È seguito un silenzio. Il rinoceronte e il bambino erano sempre lì davanti a noi, la luce del sole filtrava tra i rami della quercia e faceva brillare il color rame, che dava come dei piccoli lampi.

 

Però c’è un però, ho detto io. Nessuno che voglia celebrare l’elogio della Meccanica metterebbe il fulcro a metà della leva, lo sanno tutti che il braccio dove sta l’oggetto più pesante deve essere molto più corto…

Che mona! Dice il mio amico, non ci avevo pensato

Già… quindi escludiamo la leva

Escludiamo, dice lui.

Altro silenzio.

 

Dopo un po’ il mio amico fa: Invece della leva allora immaginiamo un’altalena.

Il bambino tiene sollevato un rinoceronte sull’altalena… Ancora una volta la leggerezza vince sulla pesantezza, continua il mio amico; la fantasia vince sulla forza bruta…

Allora, dico io, il mondo perduto non è il magazzino operaio, ma il brìscol su cui ci dondolavamo nel cortivo di Via Mure noi fratelli e mia sorella, dandoci lo slancio per toccare con i piedi i rami della pianta di àmoi…

No quel brìscol che dici tu, fa il mio amico, ma l’altalena del parco giochi, uno si siede da una parte e uno dall’altra.

Silenzio.

Però di solito – dico io – con il bambino c’è un nonno o una nonna che dà una spinta, e tanti nonni in coda per il loro turno.

Cioè? Vuoi dire che il nonno calca la mano dalla parte del bambino con il suo peso e il rinoceronte rimane in alto?

Sì: e se cerchi un significato, quest’opera vuole farci riflettere sullo stato del welfare famigliare in questo paese.

Giusto… ma perché allora non mettere il nonno o la nonna accanto al bambino?

Altro silenzio.

 

Sai cosa mi ricorda? Dice il mio amico. Mi viene in mente che la caverna di Platone è la prima baracca di burattini della Storia, e sapendo che Gigio è un burattinaio, niente di più facile… Sai la caverna di Platone?

Ma non c’è un rinoceronte nel mito della caverna, faccio io.

No, però noi siamo dentro la caverna, diamo le spalle alla luce e vediamo le ombre che gli oggetti e le persone che sono fuori proiettano nel fondo della caverna. Chi dice che rinoceronte e il bambino non siano ombre di qualcos’altro…

Vuoi dire immagini e ombre che rinviano a cose reali – un animale o un bambino?

No: immagini e ombre che rinviano non a cose reali ma ad altre immagini che abbiamo visto; la nostra vita è tutta così, pensa alle immagini di guerra in tv che non rinviano alla guerra com’è realmente ma a immagini di guerra, ombre che rinviano ad altre ombre… e qui si è imbarcato in una spiegazione che non ricordo perché nel frattempo mi ero fissato a osservare il corno del rinoceronte, se era uno o se erano due, se era un rinoceronte africano o indiano, se magari non fosse una copia di quello di Dürer, quello che ha indosso un’armatura di cavaliere antico. E allora ho pensato che negli stessi anni di Dürer gli Atzechi erano convinti che cavallo e cavaliere con armatura fossero un unico animale, ammazzavano il cavallo e non capivano perché il cavaliere oplà balzasse in piedi e continuasse a roteare la spada, e viceversa, e così anche Dürer immaginava forse che rinoceronte e cavaliere fossero fusi assieme, e allora ho pensato che Dürer non era in realtà un pittore tedesco come hanno voluto farci credere ma un atzeco, e che fosse stato lo sguardo maschile ed eurocentrico degli storici ad averlo trasformato in uomo tedesco bianco ed eterosessuale, e poi mi è venuto in mente il rinoceronte del quadro di Longhi e i disegni di Gyula Molnar in un libretto che avevamo fatto più di quarant’anni fa,  e con questi pensieri non prestavo ascolto a quello che diceva il mio amico, tanto che non ricordo che spiegazione mi abbia dato sui simulacri che rinviano ad altri simulacri, so solo che era molto dotta e mi dispiace non farvene partecipi qui oggi, che sarebbe il posto adatto…

 

Qualche giorno dopo questa conversazione, Zan chiede un titolo del mio intervento per la locandina. Subito? Sarebbe meglio. Ci voleva un titolo abbastanza vago da lasciarmi il tempo di pensarci, ho suggerito Tempo di rinoceronti. È stato questo titolo a darmi lo spunto per la conclusione del mio discorso. Il mio amico aveva usato il tempo presente: il bambino tiene sollevato il rinoceronte. Senza punto esclamativo, mi sembrava. Se alla fine della frase avesse messo un punto esclamativo ci sarebbe stato anche lo stupore. La sua invece era una constatazione, quello che vedeva gli dava un senso di sicurezza, di stabilità.

Quello che lui vedeva poteva essere detto e pensato anche al passato remoto (il bambino tenne alzato il rinoceronte), al futuro (il bambino terrà alzato il rinoceronte), all’imperfetto (il bambino teneva alzato il rinoceronte). I tempi verbali comunicano ciascuno un sentimento diverso. Il passato remoto (ci fu una volta in cui un bambino riuscì a sollevare un rinoceronte), ma anche l’imperfetto (un bambino teneva sollevato un rinoceronte) comunicava un senso di meraviglia, e forse un rimpianto verso l’età dell’oro, degli dei, e dei bambini. Il futuro (un bambino solleverà un rinoceronte) avrebbe avuto un tono profetico, tipo: un bambino terrà sollevato un rinoceronte e così si compirà la Promessa.

Quello che il mio amico vedeva era una istantanea, come se rinoceronte e bambino fossero fermi in quella posa e di lì non si muovessero. Anche per questo aveva usato il tempo presente. E così non si era accorto che al contrario l’altalena comunica un senso di movimento, per cui la frase dovrebbe essere così: un bambino e un rinoceronte vanno su e giù in altalena, adesso vedete il bambino giù, tra un po’ lo vedrete su; oppure più semplicemente: l’altalena dondola, o ancora più secco ancora: ecco un’altalena. I tempi verbali allora diventano questi: l’altalena andava, va e andrà sempre su e giù. L’insieme di questi tempi verbali suggerisce un legame tra passato e futuro, alto e basso, pesante e leggero, vecchio e nuovo, movimento e fissità. C’è un tempo verbale adatto per esprimere questo sentimento? Non c’è, perché il tempo dell’altalena non è il tempo della successione cronologica tra un prima e un dopo ma il tempo della meraviglia e dello stupore, quando tutto è possibile, tutto è instabile, tutto è imprevedibile. L’altalena mostra come al centro dell’universo non sta la leva: sta la Ruota della Fortuna, sta la Ruota del Tempo.

 

Il mio amico non aveva intravvisto questo aspetto perché è uno che guarda film e legge romanzi, oltre a libri di storia. Romanzi e film seguono uno schema ricorrente, per esempio: Entrò Anna e disse: che cosa ci fai ancora qui? Seguono tre-quattrocento pagine di spiegazione, con svelamento del retroscena. Oppure il film inizia con una sparatoria in cui muoiono tutti, tutta gente che non sai chi siano, e poi nel giro di un’ora e mezza, se il film è fatto bene, lo capirai. Chi legge un romanzo o chi vede un film si trova fin da subito in una situazione di estraneità e dovrà scoprire passo passo che cosa succede in un mondo sconosciuto. Così il mio amico vede il rinoceronte e un bambino, non capisce la situazione, e cerca il significato in un retroscena.

Ma c’è un altro schema, quello tra l’altro che io preferisco, ed è quello della novella medievale e dei poemi cavallereschi. Questo schema si basa sul cerimoniale del racconto, che abolisce l’estraneità di chi ascolta, e anzi fa in modo che chi ascolta entri da subito nel mondo che sarà oggetto della novella: “Ornate donne e amorosi giovani, c’era una volta un cavaliere che diventò pazzo per amore”. Fin da subito noi conosciamo i caratteri del personaggio, quello che segue non è una spiegazione, ma una meraviglia continua, di episodio in episodio, di divagazione in divagazione, senza nessuna gerarchia, senza nessun antecedente da scoprire, o retroscena da svelare, o significato recondito: Ruggero vola a cavallo dell’ippogrifo, Angelica beve dalla fontana dell’amore, Orlando è prigioniero di un castello fatato, un bambino e un rinoceronte si spingono l’un l’altro nell’altalena, Ser Ciappelletto (della novella del Boccaccio) da grandissimo peccatore che fu tutta la vita diviene santo in punto di morte e da Ser Ciappelletto si trasforma in San Ciappelloni, a reti unificate…

 

Il significato perciò non va cercato, come ha fatto il mio amico, in ciò che viene raccontato – nel nostro caso un rinoceronte e un bambino – ma nel fatto stesso di raccontare. Nel Decamerone chi racconta una meraviglia, chi racconta l’impensato, ferma il tempo in epoca di peste, sospende l’incombenza della morte e dimentica le disgrazie della vita; nelle Mille e una notte Sharazad ogni sera racconta al re una storia, rimandando il finale al giorno dopo, e così si salva dalla morte cui è destinata. Auguro la stessa sorte all’opera Piano inclinato e a chi si fermerà a guardarla, mettendo in scena un cerimoniale del racconto che quest’opera rende possibile, oggi e nel futuro per chi visiterà Forte Mezzacapo.

 

Scusate. Non mi sono ancora presentato. Mi chiamo Bouvard, mi sono ritirato a vivere in campagna. Il mio amico di cui ho tanto parlato si chiama Pécuchet, oggi non è venuto perché doveva piantare i pomodori. Dice che Ettore è andato tardi a fresare l’orto e che l’orto non poteva più aspettare. Lo sanno tutti che è una scusa, ma il mio alter ego è fatto così, sta meglio da solo. E poi ho una confessione da fare. Ricordate il rinoceronte che si era slogato la caviglia che poi Gigio e Lanfranco avevano dovuto fasciare? È successo che un momento in cui non c’era nessuno mi sono seduto sulla leva, l’altalena andava su e giù e abbiamo cominciato a raccontarcela, il rinoceronte e io intendo, finché il rinoceronte, nel darsi una spinta con la zampa per toccare in alto un ramo di quercia… Chi è andato in brìscol da bambino o da bambina, e ha idea quanto pesa un rinoceronte, può immaginare cosa sia successo… Oltretutto sappiamo che solo un bambino può andare in altalena con un rinoceronte.

 

 

Forte Mezzacapo, 18 giugno 2023